Dedichiamo questo spazio ad un amico di lunga data di Agd Novara.

MARCO ZENONE – al suo primo romanzo “NON TI VOLGIO”

L’autore racconta con estrema ironia le vicende del protagonista tra amori, amicizie e la sua lotta contro il Diabete.

Questa è l’intervista che ci ha concesso

Come è nato il libro?

Non ti voglio nasce come racconto. Un racconto da me scritto sul finire del 2018 che è il montaggio di due episodi molto simili, accaduti in momenti diversi della mia vita. Questi episodi, assieme a tutta la parte in cui Enzo descrive come vive il diabete tipo 1 (di cui soffro anch’io dall’infanzia) rappresentano i passaggi più autobiografici del romanzo. 

Per rispondere subito a una domanda che mi hanno posto alcuni lettori, vorrei precisare che la figura di Arianna, assieme a Enzo il personaggio principale della storia, non esiste come persona, ma esiste come esperienza. O meglio, come esperienze. Due esperienze appunto analoghe che ho assemblato per praticità e alle quali ho dato il volto di Arianna.

Anche Simona, l’altra figura femminile intimamente legata al protagonista che a metà romanzo viene rievocata velocemente, non appartiene al mio vissuto. Nonostante ciò è un personaggio molto simbolico, al quale sono legato, perché incarna –

come, lo capirete leggendo – quella mia giovanile riluttanza a confidare ad amici e conoscenti la malattia. Il brano che la interessa mi rappresenta in maniera considerevole, ed è stato scritto con l’intento di “smascherare” questa mia condotta che oggi non posso che ritenere sciagurata e dannosa per la mia crescita.

Quando scrivi cose che ti riguardano, alcuni nodi vengono al pettine e purtroppo devi fare anche un po’ i conti con quello che è stato il tuo passato.

Tornando al racconto, nucleo centrale della storia scritto in un paio di mesi, devo confessare che una volta terminato non ne ero per nulla soddisfatto. Innanzitutto per via della brevità, e poi perché, secondo me, a parte un valore intrinseco di testimonianza di vita legata al diabete, aveva poco da dire. Inoltre durante la stesura mi sono reso conto di voler realizzare un vero e proprio romanzo, più organico e articolato, che esaltasse il significato del brano originario.

Ho così deciso di costruire una struttura narrativa formata da più scene, cioè i vari capitoli, che fossero diverse l’una dall’altra per contenuti, ma con il denominatore comune rappresentato dalla condizione di vivere il diabete tipo 1 e della storia con Arianna.

Questi sono i due principali fili rossi che guidano il romanzo.

Quindi il romanzo non è totalmente autobiografico?

Esattamente. A eccezione delle parti sopracitate, il resto del libro è frutto della mia fantasia, e questo ha richiesto ovviamente molto più tempo per essere elaborato e inserito nel contesto di partenza. Ho impiegato circa due anni a completare il tutto.

Alcuni lettori mi hanno fatto notare che a loro parere ci sono alcuni punti del romanzo in cui mi distacco un poco dall’argomento centrale del diabete coniugato con la figura di Arianna, con il risultato di indebolire il risultato finale.

Devo dire la verità, quando mi fanno notare questo aspetto io sono molto felice perché volevo che fosse esattamente così.

Mi spiego: a me piacciono i romanzi caratterizzati da varietà della prosa e da molte digressioni, per questo motivo mi sono posto l’obbiettivo di realizzare un testo che avesse tra le sue caratteristiche la varietà e la frammentazione.

È molto varia la trama, in quanto formata da diverse scene, scollegate l’una dall’altra e che potrebbero anche funzionare da sole. Mi piace definirle come le puntate di un telefilm, che te le puoi gustare anche senza avere visto le precedenti.

È frammentato il mondo dei personaggi, perché in ogni capitolo se ne incontrano di nuovi, magari inaspettati e dalle peculiarità che un po’ richiamano il periodo in cui sono cresciuto. La loro presenza ci aiuta a svelare le sfaccettature caratteriali di Enzo.

Ma la caratteristica del libro di cui vado più fiero è la varietà dei capitoli e delle digressioni, dal momento che, da esordiente, ho provato a cimentarmi con modalità di scrittura che abbracciano stili diversi. C’è, ad esempio, un capitolo nel quale il protagonista bambino (già diabetico) rivive attraverso un flashback la prima crisi ipoglicemica di cui ha memoria; è scritto con linguaggio semplice ed elementare, credo adatto a esprimere il flusso di pensieri di un bimbo circa decenne.

Non mancano i punti introspettivi e dolorosi, dove Enzo riflette su come la malattia gli condiziona la vita.  

E naturalmente, quasi a bilanciare i momenti più amari, ci sono parti ironiche, surreali, umoristiche e un po’iperboliche.

Poi, per tornare ai miei gusti come lettore e a cosa mi intriga trovare nei romanzi, ci sono frasi e periodi ricorrenti alla fine di quasi ogni capitolo. Nelle mie intenzioni vorrebbero ricordare delle piccole odi o filastrocche, nelle quali Enzo si descrive con giochi di parole e assonanze lessicali in cui è sempre presente la terminologia “tipo 1” che identifica la malattia.

Sostanzialmente “Non ti voglio” è un libro che punta molto sul lato ironico e che strizza l’occhio a chi non vuole prendersi sul serio.

Quanto scritto è il filtrato delle mie emozioni e del mio vissuto come diabetico e non aspira a essere da esempio per nessuno.

Spero venga apprezzato per la leggerezza con cui ho provato a sdrammatizzare una storia che potrebbe capitare a qualsiasi diabetico.

Mi dicevi che un estratto del romanzo è stato pubblicato su una rivista medica?

Certo, un brano del romanzo, uno dei pezzi più autobiografici, è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista JAMD, periodico di approfondimento medico e scientifico dell’Associazione Medici Diabetologi Italiani, dedicato alla Medicina Narrativa.

In questo numero si parla del potere curativo del raccontare di sé e delle proprie emozioni, per tentare di spiegare con parole concrete il dolore e le difficoltà a cui ci costringe la malattia (purtroppo questi turbamenti molto spesso rimangono solo delle ombre indefinibili in un angolino del nostro cervello).

Di questo bellissimo traguardo devo ringraziare la mia dottoressa, Maria Chantal Ponziani, responsabile della diabetologia di Arona-Borgomanero, che dopo aver letto l’estratto ha ritenuto che meritasse di essere divulgato e diffuso.   

Al mio brano è stata dedicata la copertina della rivista, realizzata dalla bravissima artista Marta Monge, dove si vede il piccolo Enzo alle prese con una inquietante partita di pallone.

E la copertina del libro?

La copertina del libro, invece, è la rielaborazione in chiave moderna del celebre dipinto di Grant Wood American Gothic, del 1930. È stato realizzato appositamente per il mio romanzo dal pittore novarese Massimo Romani.

Il motivo di questa scelta è da ricercarsi nelle sensazioni che il quadro originale mi ha sempre trasmesso: quando lo osservo vengo colpito dal gelo, dalla diffidenza, dal sospetto e, perché no, anche dall’ostilità dei due fattori di inizio ‘900 ritratti da Wood davanti alla loro casa. Questi sentimenti sono sovrapponibili a quelli coi quali viene accolto Enzo nella sua vicenda.

Vorresti dedicare il libro a qualcuno? 

La pubblicazione del libro è un premio a me stesso bambino e adolescente per i momenti difficili che mi sono trovato ad affrontare crescendo con il diabete in un periodo in cui le terapie non erano sofisticate come quelle di adesso, ma molto più semplici e approssimative; ai miei genitori, che mi hanno aiutato con la loro presenza a non scoraggiarmi quando il diabete è entrato nella nostra casa come un ospite indesiderato e soprattutto sconosciuto; a tutti i diabetici come me che hanno vissuto quel periodo: ci accomunano le tante giornate trascorse in una sorta di sospensione che non ce le ha fatte godere appieno, in un detestabile “equilibrio instabile” e in cerca del conforto di un freddo numero su un display.

INTERVISTA A MARCO ZENONE – “NON TI VOGLIO”